La letteratura, l’architettura, il vuoto e James Joyce

La letteratura è l’arte di costruire un involucro lessicale che intrappola il vuoto nel quale si muoverà il lettore. Il lettore si muoverà nello spazio delimitato dalle parole e lo arrederà, lo riempirà con la sua immaginazione.

L’edificio architettonico delimita il vuoto e lo spazio. Rende abitabile il vuoto, riconoscibile lo spazio, unica l’esperienza.

Le parole che formano il testo sono l’edificio: classico, romanico, gotico, barocco o moderno che sia. Lo stile architettonico corrisponde allo stile letterario?

L’architettura è l’arte di dare una cornice fisica allo spazio, per accogliere i corpi delle persone. La letteratura è l’arte di dare una cornice lessicale allo spazio, per accogliere l’imaginazione delle persone?

L’architettura è l’arte di imprimere un ritmo al vuoto: nel dialogo fra vuoto e pieno si distende la potenza del pensiero architettonico. Il vuoto è il cuore, il senso dell’architettura.

La letteratura è l’arte di imprimere un ritmo all’immaginazione: nel dialogo fra le parole e l’allusione, ecco che l’evocato, il non detto distende la potenza del gesto letterario. Il vuoto è il cuore, della letteratura.

Brunelleschi ha creato dialoghi sapienti con il vuoto, culminati nella Cappella Pazzi. Il tempio greco contiene porzioni di vuoto superiori al ‘pieno’, così come le cattedrali e le nostre case.

Allo stesso modo, la scrittura è la parte esterna del testo; l’interno deve essere lasciato vuoto, deve essere colmato dall’immaginazione di chi legge.

Una casa con le camere piene non è abitabile.

Un testo che le scene piene non è abitabile.

Per scrivere occorre pensare il vuoto.

La scrittura deve essere insatura? Deve permettere l’immaginazione?

Quando rileggiamo il nostro testo durante la revisione dobbiamo cercare la quantità di vuoto presente nell’opera? Per vuoto si intende tutto ciò che viene lasciato intenzionalmente all’immaginazione del lettore.

Una scrittura satura dice tutto, non permettendo al lettore di popolare lo spazio narrativo con la sua immaginazione.

Se abbiamo scritto un racconto troppo pieno, la partecipazione di chi legge diventa debole, portando l’opera nella condizione di non aprirsi al lettore.

Se invece lasciamo spazio al vuoto, ecco che da quel vuoto potrà passare la luce, filtrare attraverso le parole, nelle pieghe delle scene, e illuminare lo spazio con la qualità specifica della immaginazione, unica, personale, di chi legge.

Quindi è importante rileggere il testo e capire se è possibile togliere ciò che può essere dedotto, intuito, percepito di riflesso da chi legge. Per esempio, si può trasformare una descrizione in un’allusione, così da permettere al lettore di completare la scena.

Un ottimo modello di applicazione di questa tecnica è fornito da Gente di Dublino, di James Joyce. Qui la letteratura diviene architettura, i vuoti sono perfetti, ben organizzati nelle sue strutture, e si passa davvero a un livello più alto di esperienza di lettura.

Insomma, scrivere vuol dire lavorare alla costruzione di vuoti: pittori, fotografi, tutti gli artisti fanno questo, lavorano sul vuoto.

Dalle finestre di una cattedrale penetra la luce, che dà ulteriore forma al vuoto, all’interno. Dalle frasi di un testo deve penetrare la luce capace di dare colore all’immaginazione di chi legge. La luce che penetra dalle finestre della cattedrale letteraria è fornita dalle metafore, dalle allusioni, dalla capacità evocativa, dai dettagli sensoriali.  

La luce è ciò che filtra dal testo e illumina la mente di chi legge.

Chi scrive deve lasciare spazio al vuoto? Deve sottrarre?

Più il testo è fornito di queste finestre che danno luce al vuoto, più il lettore percepirà la sconvolgente ricchezza del vuoto che via via scopre e riempie.

A testo concluso, occorre lavorare per scorgere l’eccesso di pieno, la saturazione, il ‘troppo detto’. Occorre rileggere per cogliere la mancanza del vuoto. Si tratta di valutare se abbiamo lasciato margini di capacità immaginativa a chi legge.

Non è facile leggere con la ferma intenzione di ‘cercare il vuoto’ nel testo.

Gente di Dublino, di James Joyce, è un esempio estremo di letteratura in cui il vuoto è superiore al pieno.

Un testo letterario riuscito è un’opera di architettura.

Mentre si scrive si dovrebbe dire: «Che cosa faccio mancare a questo capitolo?»

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